C’è stato un tempo in cui bastava leggere un giornale per avere un’idea chiara di ciò che accadeva nel mondo. Oggi, la quantità di informazioni che riceviamo ogni giorno è tale da confondere più che chiarire. Tra social network, motori di ricerca e intelligenze artificiali generative, distinguere il vero dal falso è diventata una delle sfide più complesse del nostro tempo.
La disinformazione si è evoluta: non è più solo un errore umano o una svista editoriale, ma una strategia. Video falsi generati da IA, notizie costruite ad arte, immagini alterate e campagne mirate a destabilizzare la fiducia sono ormai all’ordine del giorno. In questo contesto nasce un nuovo fronte della sicurezza informatica: la Disinformation Security, l’insieme di tecnologie e strategie messe in campo per proteggere persone, organizzazioni e società dalla diffusione di contenuti falsi.
Ma combattere la disinformazione non è solo una questione di cybersecurity. È anche una questione ambientale, sociale e di governance. Perché la verità – oggi – è un bene comune da custodire.
Approfondiamo insieme.
Potrebbe sembrare un paradosso, ma anche la disinformazione ha un costo ambientale. La produzione e la distribuzione di contenuti falsi - come video deepfake, campagne di fake news o bot disinformativi - sfruttano risorse computazionali intense. I modelli di intelligenza artificiale generativa, specie se non ottimizzati, consumano energia e alimentano data center ad alto impatto.
Parlare di Disinformation Security significa anche parlare di efficienza energetica, responsabilità tecnologica e sostenibilità digitale. Per costruire un ecosistema digitale davvero sostenibile, è fondamentale che anche le infrastrutture tecnologiche adottino criteri di responsabilità ambientale. Questo significa puntare su:
soluzioni cloud progettate per ridurre i consumi energetici e ottimizzare le prestazioni;
servizi digitali in grado di monitorare e compensare la carbon footprint generata dalle piattaforme utilizzate;
iniziative di economia circolare (come la nostra iniziativa Community Connect) orientate al recupero e alla rigenerazione di dispositivi hardware, prolungandone la vita utile e riducendo la produzione di rifiuti elettronici.
In questo contesto, la disinformazione si rivela doppiamente dannosa: oltre a intaccare la fiducia collettiva, genera sprechi – di tempo, di risorse, di energia. Anche l’inganno ha un costo. E ogni risorsa sprecata, anche se immateriale, lascia una traccia.
Se l’ambiente paga il prezzo nascosto della disinformazione, è la società a pagarne quello più evidente: la perdita di fiducia. Quando tutto è potenzialmente manipolabile, quando ogni immagine può essere artefatta e ogni notizia falsificata, le basi stesse della convivenza civile e del business vengono scosse.
Le aziende, oggi, non possono più permettersi ambiguità. Devono essere trasparenti, verificabili, affidabili. Non solo per tutelare la propria reputazione, ma per alimentare un clima di fiducia tra stakeholder, dipendenti e clienti.
Noi ce la mettiamo tutta ed abbiamo fatto della trasparenza uno dei capisaldi della nostra cultura:
adottando una cybersecurity by design che mette la protezione dei dati al centro di ogni progetto,
formando le persone non solo sulle competenze tecniche, ma anche su etica digitale e responsabilità dell’informazione,
includendo la verità tra i valori strategici della nostra governance, con il Comitato Sostenibilità che collabora con il CdA per integrare questi principi nelle decisioni aziendali
Secondo Gartner nel report "Protect Your Organization From Disinformation Campaigns", entro il 2028 più del 50% delle aziende adotterà strumenti per contrastare la disinformazione, contro meno del 5% nel 2024.
La corsa è iniziata! La differenza la farà chi saprà farsi trovare pronto, con strumenti, cultura e processi già allineati a una visione etica e sostenibile del digitale.
Anche nel mondo della governance del business, dove ogni dato può influenzare decisioni, mercati e reputazione, la disinformazione è un elemento fondamentale di tutta la parte di analisi dei rischi. Ma è anche un’occasione per ripensare la governance aziendale.
Il tema della Disinformation Security impone nuove responsabilità a chi guida le imprese:
anticipare i rischi informativi e comunicativi,
garantire verificabilità e tracciabilità dei contenuti interni ed esterni,
promuovere policy chiare, strumenti di whistleblowing, processi di verifica delle fonti.
Dal Codice Etico ai modelli di rendicontazione ESG, tutto ruota attorno a un principio semplice ma potente: la verità deve poter essere dimostrata. Con dati, con trasparenza, con responsabilità. E questo vale tanto per i contenuti condivisi all’esterno, quanto per le informazioni che guidano le nostre scelte operative e strategiche.
La Direttiva NIS2 e la CSRD, inoltre, ci ricordano che la compliance non è più sufficiente. Serve visione. Serve una governance capace di leggere la realtà – anche quando è offuscata – e di reagire in modo proattivo.
La conclusione di questa tematica è che la verità non è più un dato scontato. È una risorsa da proteggere, proprio come l’aria, l’acqua o l’integrità dei dati. E in un’estate dove tutto sembra rallentare, abbiamo scelto di parlare proprio di questo: di quanto sia importante – oggi – continuare a credere nella forza della verità, nella chiarezza dei dati, nella fiducia tra le persone.
Non sarà una battaglia facile, ma è quella giusta. Perché la sostenibilità non riguarda solo il clima o l’energia. Riguarda anche il nostro modo di informarci, di scegliere, di costruire relazioni. noi vogliamo continuare a farlo con trasparenza, competenza e responsabilità.