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Il vulnerability management spiegato: dall'analisi alla remediation

Scritto da quanture_social | 2 ottobre 2025

 

Il vulnerability management rappresenta una delle leve più strategiche per garantire resilienza e continuità operativa. La sua centralità emerge con chiarezza in un contesto in cui le minacce informatiche crescono in modo costante.  

Secondo il Rapporto Clusit 2025 sulla Cybersecurity, lo sfruttamento delle vulnerabilità note o zero-day è stato responsabile del 15% degli incidenti globali, con un impatto significativo in termini reputazionali ed economici. Un dato che trova riscontro anche nel Cost of a Data Breach Report 2025 di IBM, in cui lo sfruttamento delle vulnerabilità è indicato tra i vettori di attacco più costosi per le aziende, al pari di insider malevoli e phishing. 

Il rischio non riguarda soltanto i settori tradizionalmente più esposti, come finanza o sanità. La stessa analisi del Clusit riporta che nel 2024 comparti come il manufacturing e il retail hanno registrato incrementi significativi di incidenti, con crescite rispettivamente del 38% e del 92% anno su anno. 

Questo dimostra che nessuna filiera produttiva o commerciale è al riparo e per i C-level, il messaggio è chiaro: ogni vulnerabilità trascurata equivale a un rischio per il business

 

 

Anche il contesto normativo rafforza l’esigenza di attrezzarsi sul fronte della mitigazione dei rischi: la Direttiva NIS2 e il Regolamento DORA, ad esempio, richiedono esplicitamente alle organizzazioni di dimostrare di avere processi strutturati di vulnerability management e di remediation tempestiva. Non si tratta solo di best practice, ma di requisiti vincolanti che possono portare a sanzioni in caso di inadempienza.

 

 

Cos’è il vulnerability management 

Il vulnerability management è un processo strutturato e continuo che permette a un’organizzazione di identificare, valutare, prioritizzare e correggere le vulnerabilità presenti nei propri sistemi informativi. Si configura come un ciclo di attività che tiene conto di tecnologie, persone e procedure. 

L’obiettivo principale è quello di ridurre in modo proattivo l’esposizione al rischio, evitando che difetti di configurazione o bug software diventino porte d’ingresso per gli attaccanti. Il punto non è eliminare ogni vulnerabilità – obiettivo irrealistico –, ma garantire che le più critiche vengano individuate e risolte in tempi compatibili con il livello di rischio accettabile per il business. Significa identificare le vulnerabilità in modo sistematico, valutarne il rischio nel contesto aziendale, stabilire priorità di intervento e garantire una remediation efficace e tempestiva. 

 

La differenza tra vulnerability assessment e vulnerability management 

Uno degli equivoci più comuni riguarda la confusione tra i termini vulnerability assessment e vulnerability management. Vediamo di fare chiarezza. 

  • Il vulnerability assessment è una fotografia puntuale: attraverso strumenti di scansione, si identificano le vulnerabilità presenti in un dato momento. È un’attività fondamentale, ma limitata nel tempo e nello scopo. 

  • Il vulnerability management, è, come detto, un processo continuo che non si esaurisce con la scansione, ma comprende la valutazione del rischio, la definizione di priorità, l’implementazione delle remediation e il monitoraggio costante dei risultati. 

La differenza è paragonabile a quella tra un check-up medico e un programma di prevenzione: il primo rileva eventuali anomalie, il secondo costruisce un percorso costante per mantenere la salute nel tempo. Questo significa che un assessment da solo non basta: serve per l'appunto un programma strutturato di vulnerability management per garantire resilienza e compliance.

 

 

Il ciclo continuo del vulnerability management 

Il vulnerability management lifecycle combina in modo continuo analisi e azione e può essere rappresentato come una sequenza iterativa di sei fasi chiave, interconnesse fra loro

 

 

 

Seguirle in maniera strutturata consente alle organizzazioni di trasformare la gestione delle vulnerabilità da attività frammentaria a processo continuo e scalabile, capace di proteggere asset critici e garantire resilienza. 

 

1. Discovery 

Il punto di partenza è avere una visione completa e aggiornata di tutti gli asset aziendali. Senza una conoscenza precisa delle risorse – dai server ai dispositivi endpoint, fino agli ambienti cloud e container – qualsiasi strategia di difesa rischia di essere inefficace. La fase discovery non è un censimento statico, ma un processo continuo e automatizzato che combina più elementi: 

  • scansioni periodiche dei sistemi, degli endpoint e delle applicazioni, per intercettare nuove vulnerabilità in tempo reale; 

  • asset discovery esteso, in grado di individuare non solo i dispositivi gestiti ma anche quelli “ombra” o dimenticati, spesso i più esposti; 

  • integrazione con fonti di threat intelligence, per correlare la mappatura interna con le vulnerabilità note e le minacce emergenti. 

Le piattaforme di vulnerability management di nuova generazione, come Microsoft Defender Vulnerability Management (MDVM), garantiscono visibilità continua e agentless, permettendo di monitorare anche sistemi cloud e container senza introdurre complessità operative.  

Questo primo step consente di creare una baseline di sicurezza affidabile, dalla quale partire per tutte le fasi successive del ciclo di vulnerability management.

 

2. Prioritizzazione degli assets  

Una volta completata la mappatura, il passo successivo è attribuire un livello di criticità agli asset. Non tutti i sistemi hanno lo stesso valore per l’organizzazione: un database che contiene dati sensibili o un ERP che governa i processi produttivi meritano più attenzione rispetto a dispositivi periferici o applicazioni secondarie. 

Le best practice suggeriscono di valutare gli asset sulla base di tre dimensioni principali: 

  • valore di business: quanto l’asset è essenziale per processi, clienti o continuità operativa; 

  • criticità tecnica: esposizione a minacce note, configurazioni deboli, dipendenze con altri sistemi; 

  • impatto normativo: presenza di dati regolamentati (es. dati personali soggetti a GDPR o informazioni sensibili ai sensi della NIS2).

     

La prioritizzazione permette quindi di concentrare le risorse di sicurezza dove il rischio è maggiore e quindi di semplificare le decisioni strategiche quando occorre allocare risorse limitate, evitando dispersioni e riducendo i tempi di reazione. In pratica, significa creare una gerarchia di asset – mission critical, rilevanti, marginali – che guiderà le fasi successive di assessment e remediation. 

 

3. Assessment 

Dopo aver mappato e classificato gli asset, la fase di assessment consente di analizzarne il profilo di rischio in modo strutturato. Non si tratta solo di rilevare le vulnerabilità, ma di comprenderne la reale esposizione e l’impatto sul business 

Gli strumenti di vulnerability management valutano ogni asset combinando più fattori: 

  • il CVSS (Common Vulnerability Scoring System), che assegna un punteggio di gravità alla vulnerabilità; 

  • il contesto operativo, ad esempio se l’asset è esposto a Internet o se supporta applicazioni mission-critical; 

  • la classificazione dell’asset definita nella fase precedente, che ne stabilisce la priorità aziendale. 

In questo modo, è possibile distinguere tra vulnerabilità teoricamente critiche ma su sistemi secondari, e vulnerabilità con punteggi anche più bassi ma su asset ad alto impatto. L’assessment accurato permette di determinare quali rischi eliminare per primi, integrando fattori tecnici e di business. In pratica, la fase di assessment è ciò che trasforma i dati grezzi delle scansioni in informazioni azionabili, fondamentali per indirizzare le attività di remediation in modo mirato ed efficace. 

 

4. Reporting

Una volta completata l’analisi, i risultati devono essere documentati e comunicati in modo chiaro. La fase di reporting ha una duplice funzione: rendere disponibili informazioni tecniche dettagliate ai team operativi e fornire ai C-level una visione sintetica del livello di rischio. 

I report più efficaci includono: 

  • l’elenco delle vulnerabilità rilevate, con priorità e asset coinvolti; 

  • la classificazione del rischio per tipologia (critico, alto, medio, basso); 

  • una roadmap di remediation con tempistiche e responsabilità; 

  • indicatori chiave come esposizione residua e trend di miglioramento. 

Oltre a tradurre i dati tecnici in insight strategici, supportando le decisioni di budget e governance, questo step è un elemento indispensabile per la compliance normativa: direttive come NIS2 e DORA richiedono la dimostrabilità delle misure adottate, e i report costituiscono la prova documentale da presentare in audit o in caso di incidente. Per i vertici aziendali, diventano così uno strumento di risk intelligence, in grado di collegare le attività di sicurezza al linguaggio del business. 

 

5. Remediation 

La fase di remediation rappresenta il momento più operativo del vulnerability management: una volta identificate e valutate le vulnerabilità più critiche, l’obiettivo è ridurre al minimo la finestra di esposizione intervenendo in modo tempestivo. 

Le principali modalità di remediation comprendono: 

  • patching, cioè l’applicazione degli aggiornamenti rilasciati dai vendor; 

  • modifiche di configurazione, ad esempio per rafforzare i controlli di accesso o ridurre le superfici esposte; 

  • workaround temporanei, utili quando non esiste ancora una patch ufficiale o quando l’applicazione immediata non è possibile senza impattare sull’operatività. 

La collaborazione tra team di sicurezza e IT operations è essenziale per garantire remediation rapide ed efficaci. Workflow automatizzati permettono di generare richieste di correzione direttamente dai risultati delle scansioni e di monitorarne lo stato in tempo reale. 

Questa fase è cruciale perché incide direttamente su due parametri fondamentali: il Mean Time to Resolve (MTTR) e la riduzione del rischio complessivo. Un programma maturo di remediation non solo limita le probabilità di un attacco riuscito, ma dimostra anche l’efficienza dell’organizzazione nella gestione della sicurezza.

 

6. Verifica e monitoraggio 

Il ciclo di vulnerability management non termina con la remediation: la fase finale di verifica e monitoraggio assicura che gli interventi siano stati efficaci e che il processo rimanga attivo nel tempo. La verifica avviene tramite audit regolari e controlli di follow-up, che permettono di confermare la chiusura delle vulnerabilità e di rilevare eventuali regressioni. Il monitoraggio continuo, invece, integra strumenti di scansione automatizzata e metriche di performance, come: 

  • Mean Time to Detect (MTTD): tempo medio necessario per identificare nuove vulnerabilità; 

  • Mean Time to Resolve (MTTR): tempo medio di correzione; 

  • trend delle esposizioni residue, per valutare se il rischio complessivo si sta riducendo. 

L’integrazione tra le attività di verifica e di monitoring consente di costruire un ciclo di miglioramento permanente, in grado di adattarsi alla velocità con cui emergono nuove minacce e alla complessità degli ambienti multicloud. Questo significa poter contare su un sistema che non si limita a reagire, ma che evolve insieme al business, garantendo resilienza e compliance dimostrabile nel lungo periodo. 

 

Le 6 fasi del vulnerability management cycle 

Fase 

Obiettivo principale 

Attività chiave 

Valore per il business 

1. Discovery 

Creare un inventario completo degli asset 

Scansioni automatizzate, asset discovery, baseline di sicurezza 

Visibilità totale su sistemi e superfici d’attacco 

2. Prioritizzazione degli assets 

Assegnare un livello di criticità agli asset 

Classificazione per valore e impatto 

Risorse allocate in base alla rilevanza per il business 

3. Assessment 

Analizzare il profilo di rischio degli asset 

CVSS score, contesto operativo, impatti su dati e processi 

Decisioni di remediation basate su dati concreti 

4. Reporting 

Documentare e comunicare le vulnerabilità 

Report tecnico + executive summary per C-level 

Trasformare dati tecnici in insight strategici 

5. Remediation 

Correggere le vulnerabilità prioritarie 

Patch, reconfigurazioni, mitigazioni 

Riduzione del rischio e dei tempi medi di remediation (MTTR) 

6. Verifica e monitoraggio 

Verificare l’efficacia e garantire il miglioramento continuo 

Audit, metriche, follow-up 

Adattamento continuo a nuove minacce e compliance dimostrabile 

Dal rischio al valore: perché investire nel Vulnerability Management

Investire in una strategia di vulnerability management non significa solo rafforzare la sicurezza informatica, ma attivare una leva strategica capace di produrre benefici concreti per l’intera organizzazione. Dalla riduzione del rischio di data breach alla resilienza operativa, dalla dimostrabilità della compliance fino all’ottimizzazione dei costi, i vantaggi sono misurabili e direttamente collegati alla competitività aziendale.

 

Riduzione del rischio e continuità operativa 

Un programma strutturato di vulnerability management permette di agire in modo mirato sulle vulnerabilità più critiche, riducendo sensibilmente la superficie d’attacco e diminuendo la probabilità che un data breach comprometta dati sensibili, sistemi core o applicazioni a supporto del business. La rapidità con cui le falle vengono individuate e corrette ha un effetto diretto sul contenimento del rischio cyber e incide sulla capacità dell’azienda di mantenere attivi i propri processi senza interruzioni, proteggendo catene produttive, servizi ai clienti e flussi transazionali. In questo senso, il vulnerability management si traduce in un vantaggio concreto, perché consente di unire sicurezza e continuità operativa in un unico approccio integrato. 

 

Ottimizzazione dei costi di sicurezza tramite approccio proattivo 

Un approccio reattivo, basato sulla risposta a incidenti già avvenuti, comporta costi molto più elevati rispetto alla prevenzione. Il SANS Vulnerability Management Metrics Report evidenzia come metriche quali il Mean Time to Detect (MTTD) e il Mean Time to Resolve (MTTR) siano direttamente collegate all’efficienza del programma di sicurezza: più rapidi sono i tempi di rilevamento e correzione, minori saranno i costi e le risorse necessarie per gestire un incidente. In tal senso, un servizio di vulnerability management consente di ottimizzare i budget, evitando spese straordinarie legate alle emergenze, rendendo più efficace l’allocazione delle risorse IT e contribuendo a rendere la sicurezza da centro di costo imprevedibile a leva di efficienza e pianificazione, rafforzando la sostenibilità economica aziendale.

 

Compliance come leva per audit e opportunità di business 

In un mercato sempre più regolamentato, la capacità di dimostrare compliance è diventata un asset competitivo. Le direttive europee NIS2 e DORA, così come gli standard ISO/IEC 27001 e 29147, richiedono processi documentati di gestione delle vulnerabilità. Disporre di un programma di gestione delle vulnerabilità strutturato significa affrontare audit e gare pubbliche con maggiore solidità, migliorando la propria reputazione agli occhi di partner e investitori.