La convention annuale Rew<<olution di Quanture, tenutasi lo scorso 22 Novembre alla Fondazione Golinelli di Bologna, ha rappresentato l’occasione per approfondire le prospettive future e gli scenari tecnologici che permetteranno di risolvere le complessità che CTO e IT Manager si ritrovano – e si ritroveranno - ad affrontare.
Un evento in cui il tema dell’evoluzione è stato protagonista, a partire dal percorso di trasformazione che, come Quanture, abbiamo affrontato nell’ultimo anno. L’intervista in apertura di Federico Ferrazza, Direttore di Wired, a Fabio Dallaglio, Direttore Commerciale di Quanture, ha permesso di fare il punto sul nostro cambiamento e sul nuovo brand con cui ci presentiamo al mercato. Il rebranding esprime l’ultimo tassello di un importante percorso di trasformazione affrontato dall’azienda in questi ultimi anni, evoluzione che ha visto susseguirsi la definizione di una proposizione, sempre più orientata ai servizi (sempre più as a Service), il rinnovamento dell’organigramma, il cambiamento della ragione sociale (da Srl a Spa) l’inaugurazione della sede a Bologna, “primo di una serie di investimenti nel cuore pulsante del tessuto industriale italiano”.
“Il cambiamento di brand nasce sia da un’esigenza interna, per rinforzare la nuova visione che si è sostanziata nell’ultimo triennio, sia per proporre al mercato un’immagine e un perimetro ben chiari” ha raccontato Fabio Dallaglio, ricordando che Quanture è la crasi di “quantum” e “future”. Se il secondo termine indica la proiezione, il primo comunica la volontà di approcciarsi in modo disruptive e rivoluzionario alle tematiche IT, un po’ come il quantum computing consentirà di risolvere, in pochi giorni, problemi per i quali oggi servirebbero millenni. Il logo è infine ispirato alla rappresentazione dell’atomo di idrogeno che può assumere contemporaneamente più stati, fino a quando, per effetto dell’osservazione, collassa in uno di questi.
L’elemento di continuità è infine rappresentato dalle partnership con grandi aziende tech, come Microsoft, HPE, PaloAlto, HP, Veeam, Overnet, alcune delle quali, presenti al nostro evento con deep dive tecnologici. Durante l’evento, Microsoft ha tenuto un seminario di approfondimento su Desktop as a service, che consente di utilizzare ovunque un desktop Windows, con qualsiasi device, in modo efficiente e sicuro. HPE ha affrontato il tema del Disaster Recovery, componente integrante per garantire la continuità operativa dell’azienda. La sua declinazione as a Service è pensata soprattutto per le aziende che non possiedono le necessarie competenze e infrastrutture. Palo Alto Networks ha presentato la sua architettura SASE (Secure Access Service Edge) che persegue l’obiettivo di garantire una connettività sicura, senza perdita di performance, alle organizzazioni che operano in ambienti altamente distribuiti. Veeam ha infine spiegato l’importanza di un backup efficiente e sicuro, al riparo da attacchi Ransomware.
Nel corso dell’evento non sono mancati spunti di riflessione sul prossimo panorama tecnologico. Insieme a Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, si è tentato di fare il punto su transizione e trasformazione digitale esplorando la differenza tra i due concetti. La prima è un fenomeno interno all’organizzazione e riguarda l’automazione e la reingegnerizzazione dei processi. “La trasformazione digitale è invece una rivoluzione di senso - sottolinea - un fenomeno sociale che avviene quando l’IT si diffonde”.
Siamo in grado di cavalcare questo cambiamento o cerchiamo di ostacolarlo? La Fondazione per la Sostenibilità Digitale ha cercato di rispondere con un’indagine. Nonostante il 92% degli italiani sostenga che la tecnologia è opportuna, il 65% è abbastanza d’accordo o molto d’accordo con l’affermazione che lo sviluppo tecnologico possa essere fonte di diseguaglianze, perdita di posti di lavoro e ingiustizia sociale. Alla base di questo atteggiamento c’è indubbiamente il timore del cambiamento che, per non fare paura, dovrebbe essere sostenibile anche dal punto di vista sociale. “La sostenibilità, però, non è ambientalismo, non è ecologia” ha precisato Epifani.
“Soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli della generazione futura” è la definizione di sostenibilità accettata anche dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. È un modello sociale che richiede un’azione sistemica e mette in gioco una complessità difficilmente risolvibile con strumenti tradizionali. È indispensabile allora il contributo di soluzioni avanzate come, per esempio, gli algoritmi messi in campo dall’Intelligenza Artificiale (AI). È dunque evidente che la sostenibilità digitale non è affatto equivalente al digitale sostenibile.
Le domande giuste da porci, secondo Epifani, sono dunque: “Come riuscire a mettere la tecnologia al centro dei processi di sviluppo sostenibile? Come usare la tecnologia digitale per abilitare quella sostenibilità che tutti i paesi ritengono sia fondamentale?”. Probabilmente non abbiamo ancora le risposte. Lo evidenzia il fatto che gli italiani classificabili come “sostenibili digitali” rappresentano appena un quarto, secondo l’indice DISI, definito dalla Fondazione per rappresentare la percezione della sostenibilità digitale nel Paese. Nella lunga strada ancora da percorrere un ruolo centrale è assegnato alle aziende del mondo IT che hanno la responsabilità di diventare abilitatori di sostenibilità, non limitandosi a usare tecnologie e data center “green”.
La cybersecurity, dopo la fase Covid, sta ulteriormente cambiando come conseguenza della situazione geopolitica. Ne hanno discusso nel corso di Rew<<olution Daniele Stanzani, Ethical Hacker, Co-founder PanDigital e Claudio Coni, Cio Europa di Marazzi Group, storica azienda ceramica italiana, oggi parte di una grande multinazionale nel settore del flooring.
A causa delle guerre stanno aumentando gli attacchi e le violazioni, come ha sottolineato Stanzani, ricordando l’incremento di nuove tecniche nel dark web in concomitanza con la guerra in Ucraina e il nuovo teatro iraniano-saudita. Alle pratiche dei malintenzionati che si muovono solo con intenti economici, si aggiungono le attività di hacker esperti assunti dagli Stati (particolarmente attivi, in questa fase, Russia e Iran).
“A differenza dei classici attacchi, assistiamo sempre più spesso ad attività subdole e silenti, nascoste a lungo; quando il malware diventa attivo, a volte dopo 1-2 anni, mira ad azzerare la capacità delle organizzazioni di fornire servizi” ha aggiunto Stanzani. I sempre più diffusi malware wiper, per esempio, mirano alla cancellazione completa dei dati.
Marazzi ha, a sua volta, risentito delle conseguenze della guerra nella produzione per la necessità di sostituire la materia prima, in precedenza importata dal Donbass, e per l’aumento dei costi dell’energia. Ha anche sperimentato, però, l’insidiosità degli attacchi ransomware che hanno aumentato la consapevolezza diffusa dei rischi e della difficoltà di assicurare la protezione soprattutto a livello di fabbriche. “Gli attaccanti utilizzano tecniche social sempre più sofisticate che puntano sul fattore umano” ha raccontato il Cio, che conta molto sulla formazione. Aumentare la capacità del singolo di proteggere la propria privacy è infatti indispensabile per raggiungere un equilibrio fra sicurezza e velocità necessaria al business.
Per combattere le crescenti minacce non sono sufficienti gli investimenti in tecnologia, conferma Stanzani; serve un cambiamento capace di mettere in sicurezza le organizzazioni.
A corredo dei preziosi insight emersi nel corso della kermesse, Paola Maugeri, conduttrice radiofonica, speaker e scrittrice, affronta l'altra faccia del cambiamento. A partire dalle tante interviste a mostri sacri della musica, come Patti Smith, David Bowie, Lou Reed, Laurie Anderson, Chris Martin, riporta al centro del cambiamento il fattore umano. “La felicità è tale solo se condivisa. Come è possibile in un mondo dove il 20% della popolazione sfrutta l’80% delle risorse?” si è domandata, citando Bono Vox.
Infatti, la tecnologia, opportunamente orientata, è indispensabile per raggiungere gli obiettivi di trasformazione, digitale e non. Senza, però, l’apporto della componente umana, nessuna trasformazione di valore può essere possibile. Una consapevolezza che noi di Quanture abbiamo fatto nostra in questo percorso di evoluzione, in cui le persone sono state – e sono – al centro, in un accordo virtuoso tra innovazione e umanità.
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